I nomi alterati sono quelli che si hanno quando una parola, un aggettivo a volte, grazie all’utilizzo di prefissi o suffissi muta leggermente il suo significato o assume connotazioni diverse.
Oggi analizziamo le categorie di nomi alterati che esistono e facciamo alcuni esempi per rendere meglio l’idea del potere di questi nomi alterati.
Precisiamo che in alcuni casi il suffisso fa sì che la parola assuma un significato completamente diverso, ma anche in questo caso qualche esempio ci aiuterà a capire meglio.
Le quattro tipologie di nomi alterati
I nomi alterati utilizzano dei prefissi e dei suffissi per modificare il significato di una parola senza accostare alla stessa un aggettivo di tipo qualitativo.
In linea generale, è possibile evidenziare la presenza di quattro categorie di alterazioni. La prima è quella diminutiva, che permette di associare ad un nome l’immagine di qualcosa di più piccolo rispetto alla media o al pensiero comune.
Sul fronte esattamente opposto (la seconda) troviamo i nomi alterati accrescitivi, che si usano per indicare qualcosa di grande, di grosso.
Proseguiamo con le alterazioni vezzeggiative (la terza), che rimandano all’immagine di qualcosa di carino, grazioso, sfizioso e quelle dispregiative (la quarta), usate invece per indicare qualcosa di brutto, non apprezzato, da tenere lontano.
È lecito a questo punto domandarsi quando sia il caso di usare questi nomi. Essi hanno come detto lo scopo di enfatizzare una caratteristica del nome che accompagnano, ma non devono essere usati nei casi in cui il nome risulti cacofonico con la loro aggiunta.
Da evitare anche i nomi alterati in presenza di alcuni nomi astratti.
I suffissi
Per dare ai nomi le accezioni sopra elencate, occorre appunto ricorrere ad una serie di suffissi.
Nel caso di diminutivi, è possibile ricorrere a suffissi come -ino, -etto, icini, -icciolo, -ello. Alcuni di questi suffissi vengono utilizzati per dare un’accezione vezzeggiativa, insieme a -uccio, -etto, -ettino, -uzzo.
Visto che il concetto di piccolo viene spesso associato a quello di grazioso, può capitare che le due accezioni si fondano e si sovrappongano.
I prefissi accrescitivi, invece, sono quelli atti ad indicare qualcosa di grande e di imponente e sono rintracciabili nella parole che finiscono con -one, -otto, ozzo; qualora si voglia invece esprimere disprezzo si potrà ricorrere a suffissi tipo -accio, -astro, -accione.
In alcuni casi, i suffissi possono anche fondersi insieme in una unica parola. È il caso ad esempio della parola “mogliettina” che include un vezzeggiativo e un diminutivo (etta ed ina appunto).
Qualche esempio di nomi alterati
La vita quotidiana abbonda di nomi alterati, è bene evidenziare che il significato degli stessi è fortemente influenzato dal contesto in cui le parole solo inserite.
Facciamo qualche esempio di applicazione dei suffissi sopra elencati, evidenziando anche come in alcuni casi quella che appare come alterazione determina una modifica nel significato della parola.
Immaginate ad esempio di prendere in analisi la parola “borsa”. Il relativo accrescitivo, “borsone” indica sì una borsa grande, ma definisce una tipologia particolare di borsa (ad esempio quella da palestra); un discorso simile può essere fatto per il diminutivo “borsellino” o per il vezzeggiativo “borsello” che vengono utilizzati per identificare dei modelli specifici e non solo una modifica di dimensione.
Un discorso simile può essere fatto prendendo in considerazione la parola “donna”. Donnina o donnicciola sono di per sé diminutivi e vezzeggiativi, tuttavia vengono usati per identificare una donnaccia, di facili costumi o comunque non degna di onore o di stima.
Un discorso simile può essere fatto anche al maschile, con “l’uomo” che diventa omino (diminutivo) ma anche omaccio o omuncolo quando è accompagnato da una accezione dispregiativa.
Se quelle sopra citate sono eccezioni, ci sono poi una serie di situazioni normali che vi riportiamo di seguito e danno un’idea di come i suffissi possano essere utilizzati. Iniziamo parlando di animali e prendendo in considerazione la parola “cane”: cagnolino e cagnettivo sono relativi diminutivi, cagnone e cagnolone accrescitivi, cagnetto e cagnolotto vezzeggiativi, cagnaccio peggiorativo.
Prendendo in considerazione un “gatto”, invece, potremo dire gattino, gattone, gattuccio, gattaccio per dare una accezione diversa all’animale e per fare riferimento ad un gatto rispettivamente piccolo, grande, grazioso, brutto.
Restando nel mondo animale, ci spostiamo a parlare di “uccelli”: uno piccolo è un uccellino, uno grande un uccellone, uno carino un uccelletto e così via.
La carrellata di esempio prosegue con il “cappello” che può essere cappellino (diminutivo), cappellone (accrescitivo), cappellaccio (dispregiativo); “l’ombrello” che si trasforma in ombrellino (diminutivo), ombrellone (accrescitivo), ombrellaccio (dispregiativo) e così via.